Zero Killed

Da piccola immaginavo, qualche volta mi capita ancora in realtà, di alzarmi nel mezzo della classe silenziosa, del bus pieno di gente, del negozio di donnine sciccose, e iniziare a urlare e correre e saltare e ballare e cantare.

“Ok. Zero killed. Potrebbe essere la parola più usata al mondo. Forse la seconda. La prima è Casa”. Continuava a dire quel matto alla fermata del tram a Rue de la Liberté. La mia testa era piena. Ci mancava solo lui. Perché mi sta guardando?

Questo libro che mi ha regalato George s’addice decisamente alla sua personalità. George Lambertsart, 32 anni, alto quanto basta, occhi neri, intellettuale marxiano, ironico, uomo dalle potenzialità eccellenti, che usa le sinapsi con effetti devastanti sulle persone. Insomma un adorabile stronzo. Si parla del tempo. La mercificazione del tempo. Il tempo è denaro. Eh già, tutti pensano sempre e solo ai soldi. Ma una cosa non si potrebbe fare perché piace e basta? No, saresti fuori tempo e fuori moda. Dovrei smettere di frequentarlo. Mi rendo conto che io, Algise Depugnac, sono l’incarnazione delle abitudini sbagliate: preferisco un mojito ad una tisana al finocchio, amo la maionese, mi piace fumare. Tutto in regola per uno stile di vita salutare.

Ma perché mi sta guardando? Meglio voltarsi. Chissà che passa per la testa ai matti.

Rue de la Liberté, un luogo normale, con gente normale, alla periferia di Lille. Anche io sono normale. Tutto è in ipotetico equilibrio dentro e fuori di me. Nessun picco di pazzia. Da piccola immaginavo, qualche volta mi capita ancora in realtà, di alzarmi nel mezzo della classe silenziosa, del bus pieno di gente, del negozio di donnine sciccose, e iniziare a urlare e correre e saltare e ballare e cantare. Ero curiosa di vedere le reazioni. Volevo fare la matta. George mi ricorda troppo spesso che la pazzia, secondo non so chi, è un gioco, o qualcosa del genere. Dovrei frequentarlo di più. Ci vorrebbero due vite per capirlo.

“Cosa faresti se non avessi paura? Cosa faresti se non avessi paura? Cosa faresti se non avessi paura?”

“Ahhh! Ma è matto?!” E’ sbucato all’improvviso. Che domande che faccio, certo che è matto. Il cuore a mille. I pensieri interrotti. Il tram è arrivato. Finalmente a casa.

Da giorni mi frulla nella testa la domanda di quell’uomo. Non ho mai fatto nulla che superasse un certo limite. Ho paura di cadere. Ho paura delle sfide. Ho paura di George. Ho paura dell’ascensore. Ho paura dell’altezza. Ho paura di morire. Ho paura. Forse dovrei superare qualche limite.

Mi sono data minimo due limiti da superare: Ho paura dell’altezza. Ho paura di morire. “Algise Depugnac tocca a lei!”. Porcaccia ha detto il mio nome. Lo faccio. No, non lo faccio. Si, ormai sono qui. No, non ce la posso fare. “Al mio tre, le terrò la mano, non si preoccupi. Uno. Due. Tre”. Il vuoto nello stomaco, la paura è ora adrenalina. Un’esplosione interna. Sopra un aereo e giù il mondo. Colori. Ansia. Sto volando. Si apre il paracadute. Uno strattone. Tutto è più lento. Tutto è più chiaro. Tutto è più. Sono a terra. Sono viva. Inizio a ridere, urlare, correre, saltare, ballare e cantare. Ok. Zero Killed.

Testo di Giacinta Oliva
Foto Veronica Pinelli estratte da “SELF-PORTRAITS”

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