Sulla via di Santiago

“Sei pazzo”, ci dice qualcuno, “Chi te la fa fare! Non è cosi semplice, spiegare a parole, che carezza è l’incontro a sopportare il cammino. A imparare a osservare, sentire, che la fatica è di ognuno, non solo la tua.

(Qualche giorno prima del viaggio) Benedetto il mare di casa, benedetti questi piedi che sapranno portarmi per terra, lentezza, fatica, lontano, fino a toccare l’oceano, la fine del mondo.

(Prima tappa) Saint Jean Pied-de-port – Roncisvalleles 25 km. 1200metri di salita, altri 400 di discesa. Numeri che scritti così non sanno dir nulla, ma che contengono la fatica di un cammino inusuale, di uno zaino più pesante di quanto opportuno, di un sudore che ingoi salato, mentre ti resta impigliato tra baffi e pizzetto, di un vento costante che in cima riesce comicamente a spostarti, di un ultimo km che sembra infinito (mentre urlano piedi, spalle, ginocchia).

(Tappa 4) A cena si parte dal vino, mangiando quanto di norma farei fuori in 3 giorni (pranzo compreso): costringere il corpo a sforzi inconsueti significa poi dargli non solo riposo, ma costante energia. Frutta in cammino, piattoni di roba alla sera, con una sensazione (la fame) che è una scoperta, nonostante le spalle, provate da non riuscire a sollevare la brocca, per servire il primo bicchiere di vino. “Sei pazzo”, ci dice qualcuno, “Chi te la fa fare! Non è cosi semplice, spiegare a parole, che carezza è l’incontro a sopportare il cammino. A imparare a osservare, sentire, che la fatica è di ognuno, non solo la tua. Ché il camino non si misura in fatica, ma nella bellezza che lascia nel cuore, Come quando sperduti, tra i campi, i ricordi, i racconti, le bacchette abbandonate, un abbraccio, silenzio. Liberazione.

(Giorno 19) Tra messaggi, panini, acqua fresca, uccellini, telefonata, una siesta (!!) di quindici/venti minuti, la pausa dura quasi due ore, e si riparte, dopo un sostanzioso caffè. È qui che resto sorpreso. Perché al mattino, dopo 5 kilometri solo, avevo già pensato a fermarmi, per il dolore… E ora, dopo 20 chilometri o più, e le pause di sopra, decido veloce, senza troppi pensieri, di farne altri 10, quasi senza sentir la fatica. Il corpo continua a sorprendere, macchina meravigliosa; e sento, apprendo, il senso profondo della parola ristoro, dopo queste due ore di cibo, calore, parole, il piccolo sonno… sono, sì, ri-storato. Si va!

(Giorno 30-39) Con un pellegrino continuiamo a superarci a vicenda. All’ennesina volta di fermo, mentre lui fa una foto, gli dico: – Che meraviglia da qui – Sì sì, oggi è un magnifico giorno! (si chiama John, americano mi sa) – temo che ci fermeremo ogni 100 metri – continuo – con panorami così.. Eh, dovremmo… rischiamo di perderceli, chè andiamo troppo veloci! E penso al camino lento, che non è una costrizione ma scelta, che sono 33 giorni e devo ancora arrivare… eppure qualcuno ti invita a riflettere, che pur camminando corriamo… Non c’è limite alla lentezza, al riuscire a godere le cose. E c’e tanto da imparare, a riuscire a disfarsi dell’oppressione del tempo che scorre, le cose da fare, i traguardi dove arrivare… Viene in mente il bracciale di Guille: la meta è nel viaggio, dovunque tu voglia arrivare…

Testo e foto di Francesco Visca 

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