Siamo in gioco

Capita di non riuscire a trovare il proprio posto nel mondo, capita di sentirsi la più piccola molecola che aleggia nell’aria. Ma c’è sempre un motivo per continuare a sorridere e ad essere grati per ciò che si ha, c’è sempre un motivo per alzare le braccia al cielo e farsi abbracciare dai caldi raggi del sole.

Esiste un posto, nell’immaginario collettivo, in cui rifugiarsi per ritrovare se stessi e per darsi un senso. Non è un posto in cui andare in auto, con l’autobus o con l’aereo, bensì un posto fittizio che assume la forma di come viene modellato. È un posto che varia in base alla persona: per uno scrittore è il tanto temuto “blocco dello scrittore”, per un fotografo di giocattoli è quel commento superficiale che manda a picco l’autostima, per un ballerino latinista professionista è quel primo posto alla gara regionale tanto agognato che sfugge di mano, per un serio lavoratore è quell’aumento che non arriva. Sono tutti fermo immagini della vita di ognuno di noi, sono i cancelli posti sul nostro cammino, sono i flashback che ci fanno retrocedere verso le paure più profonde insite nel nostro animo. Sono gli “Stop” della vita.

Perché sì, a volte capita di non riuscire a trovare il proprio posto nel mondo e di sentirsi oppressi dalla realtà circostante, capita di provare un’incontenibile voglia di falcidiare il pressante vuoto che si ha dentro come se si trattasse di grano in un giorno di raccolto nei campi, capita di sentirsi la più piccola molecola che aleggia nell’aria senza sapere che è nelle piccole cose che risiede la grandezza dell’animo umano. Ma c’è sempre un motivo per continuare a sorridere e ad essere grati per ciò che si ha, c’è sempre un motivo per alzare le braccia al cielo e farsi abbracciare dai caldi raggi del sole.

Ed è mentre due giovani innamorati passeggiano tranquillamente nel Brompton Cemetery di Londra che improvvisamente, osservando quelle muschiate tombe, capiscono che, in realtà, un punto di arrivo non è necessariamente tale ma può essere un punto di partenza. Proprio come nel film “A Nightmare Before Christmas” del regista statunitense Tim Burton, il protagonista Jack Skeletron si reca nel cimitero della città di Halloween per riflettere sulla sua esistenza, allo stesso modo l’action figure dello stesso personaggio si è comodamente seduto su una tomba del 1800 per farsi scattare una foto tra un pensiero che va e un pensiero che viene.

Riversare il proprio essere in una passione, come si riversa l’impasto di una torta in una teglia in cui si adagia dolcemente, aiuta a liberarsi dei propri demoni e ad andare avanti. Demoni che il piccolo Jack rivede nei quadri realizzati da un’anima tormentata che fa del disegno un suo motivo di vita e in cui il tema della dissociazione regna sovrano.

E mentre lei chiude gli occhi per respirare quell’aria satura di ricordi stantii, di persone care e lontane, di un’esistenza che sta cercando il suo percorso da seguire, lui posa nuovamente il suo amico tutto ossa su un’altra tomba. Lei sfiora quello che sembra l’infinito sopra la sua testa con la punta delle dita, e poi si volta. Non guarda indietro, verso quel passato che ormai non le appartiene più. Guarda lui. Lo guarda con attenzione. Gli occhi di lei incontrano quelli di lui tra un “click” e l’altro: sono vivaci, spiritosi, pieni di vitalità, quella stessa vitalità che l’hanno spinta a scrivere di cose vere, come le emozioni, e a renderle visibili a tutti. È con l’utilizzo della parola che l’uomo può confrontarsi verbalmente con individui della sua stessa specie esponendo i propri sentimenti, i propri sogni, i propri progetti, le proprie ambizioni instaurando con essi anche rapporti di tipo affettivo. È con le parole che lei riesce a descrivere la ricerca di un senso alla propria vita, ricerca che vede negli occhi infossati di Jack. O meglio, in quelli che dovrebbero essere gli occhi. Occhi all’apparenza assenti ma in realtà carichi di speranza in cui lei vede anche i sogni di lui, in cui lei vede un modo di fare fotografia così inusuale, nuovo ed emotivo che la spiazza.

Lui gli posiziona un braccio piegato quasi a 90° dimodoché possa assumere una posa naturale. E sembra che quel “pupazzetto” sia vero sul serio. Ma forse un po’ lo è davvero: non è forse l’oggetto che assume un significato importante perché è l’uomo a darglielo? Sente nell’aria l’odore piacevole della terra bagnata. Gli esili rami gocciolanti pioggerellina sono umidi, come anni fa lo erano i suoi occhi. Quello che era non tornerà, e forse è meglio così. “Le stagioni passano”, pensa lui osservando alcuni ramoscelli in fiore, “le persone pure”. Poi la guarda giocare con uno scoiattolo che fa capolino tra i fiori per i defunti e la trova bellissima con il suo cappellino nero di lana che le rende il viso piccolo e tenero. La vede perfetta, anche se lei dice che di perfetto non ha proprio niente. Eppure è stata proprio lei ad azionare l’ingranaggio della sua creatività e ad indurlo a rendere pubbliche le sue foto, dei suoi amici giocattoli. Che poi è proprio questo uno degli effetti benefici dell’amore, no? Spingere le persone a tirare fuori il meglio di sé.

La prende per mano e le schiocca un bacio sulla guancia, mentre un corvo si appollaia su una lapide dalle scritte consunte dal tempo. Jack, invece, li osserva dal basso, seduto sull’erbetta fresca, e sembra stia sorridendo come se approvasse la loro unione. Perché in fondo Jack, come la maggior parte dei soggetti (in)animati delle sue foto, non è quello che sembra. Ad un occhio un po’ distratto e approssimativo può sembrare un comunissimo giocattolo ben vestito da esporre su una mensola; ma è molto di più: è, sì, uno scheletro spilungone, acclamato come Re delle Zucche nel film già precedentemente menzionato, ma è un personaggio curioso, creativo, romantico, allegro e cercatore della libertà. Non bisogna necessariamente conoscere il film o la sua storia per provare a delinearne la personalità. Bisogna andare oltre ciò che è percepibile dal fisico occhio umano, bisogna osservare con il cuore. È così che lui si è innamorato di lei, perché lei è stata in grado di vederlo per quello che realmente è: un artista un po’ bizzarro, che ha sempre puntato all’originalità, ma dal cuore tenero.

È un amore, il loro, che li proietta l’uno verso l’altro, che li porta a percepirsi come un’unica emissione di voce. Ed ecco perché lei si è innamorata di lui, perché lui è riuscito a trovare un filo logico al flusso di coscienza joyciano dei suoi scritti. Le mostra le sue foto sullo schermo della macchina fotografica. Lui scatta in bianco e nero, dice che il bianco e nero ha più colori dei colori stessi. Lei osserva il cielo che ha fotografato e sembra quasi stia per piovere. Le statiche nuvole grigiastre hanno immobilizzato il tempo, eppure le lancette dell’orologio che ha al polso continuano a muoversi, il che significa che i moti di rotazione e di rivoluzione della Terra stanno procedendo come sempre. Ma anche se le lancette si fermassero la Terra continuerebbe ugualmente i suoi moti. Perché è tutto un incessante divenire, un costante movimento, un quotidiano andare verso una meta.

La sera cala il suo sipario sui due giovani che prendono nuovamente Jack con sé per tornare sulla via di casa. Si stringono nei loro cappotti, per ripararsi dal vento che diviene sempre più pungente sul loro volto a mano a mano che il sole scompare oltre le case londinesi.

Un’altra giornata si conclude e con essa un’altra sessione fotografica di cui anche Jack sembra essere soddisfatto. Tornano a casa tenendosi per mano, con la consapevolezza di amarsi anche domani. Ché si sa, in fondo il “per sempre” non è altro che la somma di tutti i “domani” che si sono vissuti insieme. Sempre pronti a supportarsi e sopportarsi; sempre pronti a premere “Pausa” quando uno dei due cade e sempre pronti a premere “Play” per continuare a camminare di nuovo fianco a fianco.

Foto Luca Papaianni, il Pirata
www.facebook.com/lpapaianni
Testo di Daniela Porco
www.facebook.com/daniela.porco.5

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